Giunge a volte, repente di Eugenio Montale

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Giunge a volte, repente

Giunge a volte, repente,
un’ora che il tuo cuore disumano
ci spaura e dal nostro si divide.
Dalla mia la tua musica sconcorda
allora, ed è nemico ogni tuo moto.
In me ripiego, vuoto
di forze, la tua voce pare sorda.
M’affisso nel pietrisco
che verso te degrada
fino alla ripa acclive che ti sovrasta,
franosa, gialla, solcata
da strosce d’acqua piovana.

Mia vita è questo secco pendio
mezzo non fine, strada aperta a sbocchi
di rigagnoli, lento franamento.
È dessa ancora questa pianta
che nasce dalla devastazione
e in faccia ha i colpi del mare, ed è sospesa
fra erratiche forze di venti.

Questo pezzo di suolo non erbato
s’è spaccato perché nascesse una margherita.
In lei titubo al mare che mi offende,
manca ancora il silenzio nella mia vita.
Guardo la terra che scintilla,
l’aria è tanto serena che s’oscura.
E questa che in me cresce
è forse la rancura
che ogni figliolo, mare, ha per il padre.


(Eugenio Montale, Ossi di Seppia/Mediterraneo)

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Fratello mare di Nazim Hikmet

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Fratello mare

Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare
mi porto un po' della tua ghiaia
un po' del tuo sale azzurro
un po' della tua infinità
e un pochino della tua luce
e della tua infelicità.
Ci hai saputo dir molte cose
sul tuo destino di mare
eccoci con un po' più di speranza
eccoci con un po' più di saggezza
e ce ne andiamo come siamo venuti,
arrivederci fratello mare.


(Nazim Hikmet, In esilio)
 

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Fortitudine incarnata di Emily Dickinson

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Fortitudine incarnata

È qui deposta
nelle agitate sezioni
del temibile Mare -
vocio del felice
cavillo dell'ardito
canuto il godimento
ma il Mare è vecchio.

Edificio dell'Oceano
le tue tumultuose Stanze
mi soddisfano in ogni caso
molto più delle tombe.


(Emily Dickinson)

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Finisterre di Sylvia Plath

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Finisterre

Qui finiva la terra: le estreme dita, nocchiute e reumatiche,
rattrappite sul nulla. Ammonitori
neri dirupi, e il mare che esplode
senza fondo, o alcunché d’altro al di là,
bianco di visi annegati.
Adesso è soltanto tetro, un ammasso di rocce
soldati sbandati di vecchie, confuse guerre.
Il mare gli cannoneggia gli orecchi, ma loro non mollano.
Altre rocce nascondono i loro rancori sott’acqua.

Il precipizio ha un orlo di stelle, trifogli e campanule
ricamate si direbbe da dita, prossime a morte,
piccole al punto che quasi sfuggono alle brume.
Le brume sono parte dell’antico armamentario,
anime, arrotolate nel cupo lamento del mare.
Cancellano le rocce, poi le rifanno alla luce.
Salgono senza speranza, come sospiri.
Ci passo in mezzo, mi riempiono la bocca di cotone.
E quando me ne libero sono imperlata di lacrime.

Nostra Signora dei Naufraghi va verso l’orizzonte,
le sue vesti di marmo sventolanti all’indietro come ali.
Assorto a lei s’inginocchia un marinaio di marmo
a cui s’inginocchia la donna vestita di nero
pregando al monumento del marinaio che prega.
Nostra Signora dei Naufraghi è tre volte il naturale,
e dolci le sue labbra di celestialità.
Non sente quel che dicono il marinaio o la donna.
È tutta presa dalla bella informità del mare.

Nastri color gabbiano svolazzano alla brezza
accanto ai chioschi di cartoline illustrate.
I contadini li ancorano a conchiglie. “Comprate”
dicono, “i bei gioielli che il mare nasconde,
piccoli gusci che fanno bamboline e collane.
Non vengono dalla Baia dei Morti laggiù,
ma da un altro posto, azzurro e tropicale,
dove non siamo mai stati.
Comprate le nostre frittelle, mangiatele ancora calde”.


(Sylvia Plath, Attraverso l'acqua)

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Finale di Giuseppe Ungaretti

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Finale

Più non muggisce, non sussurra il mare,
il mare.

Senza i sogni, incolore campo è il mare,
il mare.

Fa pietà anche il mare,
il mare.

Muovono nuvole irriflesse il mare,
il mare.

A fiumi tristi cedè il letto il mare,
il mare.

Morto è anche lui, vedi, il mare,
il mare.


(Giuseppe Ungaretti, La terra promessa)

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